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Torino, aneurisma non diagnosticato. Dopo 10 anni sentenza ribaltata: «La famiglia va risarcita»

aneurisma

di Simona Lorenzetti

La storia di Dario Rotella, morto a 34 anni. Sul fronte penale il procedimento è prescritto. Ma in civile si aprirà una nuova battaglia per ottenere un risarcimento. La moglie: «Niente mi restituirà i sogni infranti»
Cinque processi in dieci anni e ancora non può dirsi del tutto conclusa la vicenda giudiziaria che racconta la storia di Dario Rotella, 34 anni, deceduto per un aneurisma non diagnosticato. Nel luglio dello scorso anno, per la moglie Simona Gervasi sembravano essere finite le speranze di ottenere giustizia. Ma ora un secondo pronunciamento della Cassazione rimescola le carte. Sul fronte penale la partita è persa, il procedimento è prescritto. Ma in civile si aprirà una nuova battaglia per ottenere un risarcimento. «Niente mi restituirà i sogni infranti. Volevamo una famiglia, dei figli. Nulla di tutto ciò mi sarà reso. Ma in cuor mio so di aver fatto tutto quello che era in mio potere per avere giustizia», commenta Gervasi.
Il 23 settembre 2013, poco dopo le 20, Rotella si presenta in ospedale a Chivasso per un forte dolore alla testa. Al pronto soccorso, durante il triage, gli viene assegnato un codice verde: il suo stato di salute non presenta alcuna criticità. Solo più tardi il medico che lo visita ritiene opportuno sottoporlo a una Tac. L’esame viene quindi eseguito e valutato dalla radiologa di turno. Alle due e mezza del mattino Rotella viene dimesso dall’ospedale con una diagnosi di «cervicalgia, cefalea e torcicollo» e la prescrizione di alcuni antidolorifici. Diciotto giorni dopo, il 15 ottobre, il 34enne è colto da un nuovo dolore alla testa e perde conoscenza. Viene portato d’urgenza in ospedale e sottoposto a un intervento chirurgico. Tre giorni più tardi, muore. A giudizio finisce la radiologa che non aveva diagnostica l’aneurisma. La professionista viene condannata in primo grado e in appello.
La Cassazione, poi, ordina un nuovo dibattimento di secondo grado: nella sentenza non vi era alcun accenno alle linee guida a cui avrebbe dovuto attenersi l’imputata. I giudici emettono una nuova sentenza, questa volta di assoluzione. Siamo nel luglio 2021 e la prescrizione cancella tutto. Gervasi, assistita dagli avvocati Giuseppe ed Emanuele Zanalda, presenta ricorso in Cassazione. I legali sottolineano come i giudici di merito abbiano assolto la radiologa valutando il suo operato sulla base delle linee guida del pronto soccorso. Un errore, secondo i legali. I quali ritengono dovessero essere utilizzate quelle specifiche per i radiologi. Il ragionamento in punta di diritto viene accolto dai supremi giudici. «L’erronea individuazione delle linee guida o comunque delle buone pratiche clinico-assistenziali — si legge nella sentenza — ha indotto la Corte territoriale a tralasciare del tutto il profilo relativo all’omessa rappresentazione nel referto di contestazione di un’immagine non leggibile perché sfocata. O comunque non decifrabile da un medico privo, come l’imputata, delle specifiche competenze neuroradiologiche». In sostanza, la professionista avrebbe dovuto valutare che la Tac non era sufficientemente nitida e chiedere l’intervento di un approfondimento diagnostico.
«In conclusione, configurando la corretta individuazione delle linee guida cui la radiologa avrebbe dovuto conformarsi, la sentenza impugnata deve essere annullata». E considerato che ormai il reato è prescritto, l’annullamento della sentenza di assoluzione deve «limitarsi agli effetti civili, demandando al giudice competente». In altre parole, la decisione della Cassazione riapre il processo civile affinché la famiglia dell’uomo possa ottenere un risarcimento.

Corriere della Sera – Cronaca di Torino – 20 febbraio 2023


https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/23_febbraio_20/aneurisma-non-diagnosticato-dopo-10-anni-sentenza-ribaltata-la-famiglia-va-risarcita-98c9a18b-8814-4583-9ef7-68d20a3c9xlk.shtml

 

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