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Cerbero, chiesti 35 anni di carcere

operazione cerbero volpiano

Volpiano gestiva il traffico di droga
Cinque imputati, un concorso esterno nella locale e lo spaccio. Le difese contestano le trascrizioni

Andrea Scutellà / VOLPIANO

La pm Laura Ruffino ha chie­sto in totale 35 anni di carcere per posizioni molto diverse tra loro, come ha sottolineato du­rante la sua requisitoria, dura­ta circa un’ora, ma tutte con­nesse ?-1 mondo degli stupefa­centi. E una delle costole dell’ o­perazione Cerbero, che aveva portato a 70 arresti nell’ambi­to delle locali della ‘ndranghe­ta di San Giusto e Volpiano, quella che è andata in scena giovedì 22 luglio in tribunale a Ivrea. Dove tutto nasce dalle dichiarazioni del pentito Domenico Agresta, il boss classe ’88, che ha deciso di redimersi dopo otto anni di carcere e do­po essere andato a scuola «per migliorare la sua vita», come sottolinea anche l’avvocato di parte civile per la Regione Pie­monte Alessandro Mattioda.
Nei capi d’imputazione di questo procedimento però la mafia si affaccia appena: al so­lo Domenico Spagnolo, 42 an­ni, difeso dall’avvocato Ema­nuele Zanalda, è contestato il concorso esterno in associazio­ne mafiosa, per cui però il gip aveva rigettato la richiesta di misura cautelare. Per lui Ruffi­no ha chiesto 11 anni e mezzo di carcere. Secondo la procu­ra, cioè, partecipava con relati­va autonomia, a quell’associa­zione finalizzata al controllo degli stupefacenti nelle piazze di Volpiano, Chivasso e nelle zone limitrofe. Perché, come ricorderà l’avvocato che si è co­stituito parte civile per il Co­mune, Giulio Calosso, «la loca­le di Volpiano ha una vocazio­ne suprematista e una tenden­za a estendersi nelle aree limi­trofe. Non c’è narcotraffico non autorizzato in zona».
Di associazione finalizzata al narcotraffico Spagnolo è ac­cusato così come Massimilia­no Lastella, 45enne, difeso dall’avvocato Marco Latella. Secondo la ricostruzione della pm «Lastella era un acquirente stabile» della droga della loca­le di Volpiano, fatto dimostra­to in molteplici episodi conte­stati in concorso con altre persone, per cui sono stati chiesti 12 anni di carcere. Il facilitato­re degli incontri era Antonino Gatto che operava alle dipen­denze di Antonio Agresta ( en­trambi oggetto di procedimen­ti separati).

Anche Angelo Sgambati, di­feso dalla legale Maria Danie­la Rossi del foro di Torino, 39enne residente a San Beni­gno era «un acquirente stabi­le», secondo la pm, della loca­le, che acquistava la sostanza per poi rivenderla. A lui, però, non è contestata l’associazio­ne finalizzata al narcotraffico.Così Ruffino ha chiesto sette anni di pena.
Di singoli episodi sono accu­sati di detenzioni e cessioni di stupefacente sono accusati an­che Mattia Corgnati, 29enne di Cigliano, e Sharan Neretti, 33enne di Livorno Ferraris. Per Corgnati però Ruffino ha ritenuto non raggiunta la prova degli episodi, quindi ha chiesto l’assoluzione. Così co­me per alcuni fatti contestati a Neretti, anche se ha chiesto cinque di reclusione per i ri­manenti.
Il quadro così è completo. La pm durante la requisitoria ha sostenuto che tutte queste po­sizioni, per quanto diverse tra loro, dimostrano una sola co­sa: che chiunque spacciasse stupefacenti nelle piazze di Chivasso, Volpiano, Settimo e San Giusto doveva avere l’au­torizzazione dalle locali della ‘ndrangheta.
Ora toccherà alle difese de­gli imputati parlare il prossi­mo 14 ottobre. Mentre il 28 si assisterà a eventuali repliche e poi alla decisione del collegio composto dalla presidente Stoppini e dai giudici a latere Cugge e Borretta.
Sono già tre, però, i legali che contestano le trascrizioni delle intercettazioni su cui par­te delle indagini erano basate. «È emerso chiaramente in au­la – spiega Zanalda – come in una trascrizione la frase “Me la dai tutta, me la prendo” si sia trasformato in “Ne ha un po’ Mimmo”, riferito a Spagnolo.
Gli errori capitano; ma per tro­varne uno ho impiegato tre giorni». Latella, difesa di Lastella, racconta che «il perito del tribunale ha accertato che un “muto” presente nelle tra­scrizioni e usato per dire che Lastella sarebbe un contatto stabile di Antonio Agresta, in realtà non esiste. E questo è so­lo un esempio di un’indagine che lascia più di una zona d’ombra. Per questo siamo tranquilli, una richiesta di pe­na diversa avrebbe mandato al macero anni d’indagine».
«L’ipotesi accusatoria – ag­giunge Rossi, la legale di Sgam­bati – è tutta da verificare sia per il quantitativo che per le trascrizioni. Noi la contestia­mo anche.perché Sgambati è un consumatore e non c’è pro­va che abbia ceduto a terzi».

La Sentinella – lunedì 26 luglio 2021

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